La Chiesa di S. Tomè ad Almenno San Bartolomeo (BG)
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MARK ROTHKO
La pittura come luogo di riflessione e ricerca dell’Assoluto
“Giallo su viola” (1956)
Mark Rothko rappresenta il versante riflessivo della corrente dell’Espressionismo astratto americano. Nato nella Russia zarista, a Daugavpils (attuale Lettonia) nel 1903, emigra presto negli USA, dove inizia l’attività didattica in scuole d’arte e università.
La pittura di Rothko si evolve via via come riflessione, come luogo della riflessione e ricerca di assoluto, come luogo dove prevale l’aspetto meditativo della componente orientale.
Pienamente immerso nella pittura sintetizzata a puro colore, Rothko all’azione sostituisce la meditazione, all’aggressività
gestuale un pensiero interiorizzato, calato nel colore. L’attenzione è per la superficie come dilatazione del colore in quanto tale, armonizzato al silenzio e a lunghi periodi sulla tela, costruita lentamente.
La pittura è portata agli elementi riducibili – al colore in quanto tale, la forma resta in 2° piano, il colore prevale, ma la forma si noterà sempre, perché deriva dalle stesse necessità di espandersi del colore sulla tela, che di fatto è rettangolare. Pertanto il colore assume la forma della tela che lo contiene, raggiungendo la massima espressività: un colore denso e pregnante, concentrato in poche tinte cariche di potenzialità, capaci di trasmettere sensazioni diverse, di scatenare diverse reazioni. Il soggetto osservatore acquisisce un suo spazio nell’ambiente cromatico della tela, dove la fisicità del colore, allo stato puro, si impone in tutta la sua fisicità.
Un colore che chiede di essere percepito nella sua tragicità, perché tocca la nostra stessa fisicità, così portato a una concezione estrema.
Rothko fa proprio l’aspetto affascinante dell’Assoluto, che è la tensione che l’artista stesso impiega per raggiungerlo, ben oltre la meta.
L’Infinito si pone dunque come continua ricerca umana, aspirazione, tensione, indipendentemente dall’effettivo raggiungimento. Ed è nella vibrazione del colore che l’artista, sublimato dalla spiritualità orientale, ricerca l’Oltre esprimendo il suo “non-io”: un io purgato, purificato da quell’auto-affermazione urlata con violenza gestuale dall’espressionismo astratto di Jackson Pollock.
Per Rothko la pittura è altra cosa. È innanzitutto la possibilità di esprimersi attraverso l’“esserci”. Nella vibrazione del colore, ricerca un valore eterno e tragico che supera il confine stesso dell’opera, rimandando al cammino, infinito, e mai raggiunto, verso se stessi. Forse, anche per questo il suo atelier di New York diverrà il luogo della morte, il santuario dove l’artista ha percepito l’infinita vicinanza tra la tragedia e l’estasi.
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Commenti d’Arte
“Nè pinger, né scolpir…”
Michelangelo
L’”Oltre” nel non finito della Pietà Rondanini
Per la maggior parte di noi, pensare al tema della “Pietà” significa identificare immediatamente una precisa iconografia, celeberrima: la Pietà di Michelangelo conservata nella Basilica Vaticana. In realtà, nel corso della sua vita l’artista scolpì ben quattro opere dedicate al Cristo morto …
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ARTE E SACRA SCRITTURA
INCONTRI CON LA BELLEZZA (3° incontro)
Un’iconografia assai diffusa nell’arte cristiana orientale è la Visita della Madonna alla cugina Elisabetta. La scena della Visitazione è narrata solo nel Vangelo di Luca.
L’evangelista vuole radicare le origini di Gesù e del Battista, vuole caratterizzare l’identità dei due personaggi, che costituiscono i punti d’incontro tra i due Testamenti.
I due racconti si sviluppano paralleli: all’annuncio a Zaccaria corrisponde quello a Maria; alla nascita di Giovanni, all’imposizione del nome, e alla circoncisione 8 giorni dopo, corrispondono la nascita di Gesù, l’imposizione del nome a Gesù e la sua circoncisione.
Luca inizia il Vangelo partendo dall’inizio, sia perché, scrivendo a Teofilo, vuole raccontare “accuratamente dal principio i fatti” (1,3); sia perché così facendo, potrà presentare Giovanni e la sua missione, in rapporto con la figura e la missione di Gesù. Luca vuole sciogliere i difficili rapporti della Chiesa nascente col gruppo dei giovanniti, che vedevano il loro maestro superiore a Gesù, in quanto Gesù era stato suo discepolo (Gv 3,22-27; 4,1-3).
Vangelo di luca, 1,29-56.
“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni,ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua”.
L‘episodio della Visitazione, momento di incontro tra l’Antico e il Nuovo Testamento, è illustrato da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. La scena fa da ponte tra le “Storie di Maria” e quelle di Cristo (1303). L’incontro tra Maria ed Elisabetta avviene fuori il portico di un edificio gotico. Elisabetta dà il benvenuto abbassandosi verso Maria per abbracciarla e renderle omaggio.
Due donne accompagnano Maria: quella più a sinistra tiene un telo chiaro che le ricade dalla spalla destra, quale simbolo dei due bimbi che dovranno essere fasciati. La donna sull’uscio, a destra, appoggia invece una mano sul grembo, a indicare lo stato interessante delle due cugine.
Giotto propone un ritmo di narrazione che si esplica nella gestualità lenta e carica di affetti. Le due cugine sanno una cosa: la loro gravidanza, è opera di Dio.
Questo duplice annuncio dell’angelo di maternità (a Maria e a Zaccaria, marito di Elisabetta) è esaltato dai colori pieni di luce, mentre il valore plastico delle figure è dato da una linea capace di sintetizzare le forme in volumi pieni, di quella pienezza che è anche interiore.
Giotto ha finalmente liberato l’arte dallo schematismo bizantino, quella serietà che impediva ai volti e ai corpi di parlare, di relazionarsi, di esprimersi. Rifiuta il fondo oro ereditato dalla tradizione bizantina, che impreziosiva l’opera e donava ieraticità alle figure, ma cristallizzava i personaggi su un piano incomunicabile.
Giotto, invece, sceglie di inserire i personaggi in quella storia che si chiama “quotidianità”. Così la quotidianità umana può diventare storia divina e sacra. Con Giotto, l’umano è restituito al divino, perché il divino si incontra e si incarna nell’umano.
Luca racconta l’incontro tra 2 donne incinte: Elisabetta, al 6° mese, e Maria da pochi giorni. Quando Maria saluta la cugina, Giovanni sussulta nel grembo della madre, che loda Maria, “Beata perché ha creduto”.
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La Natività – L’Adorazione dei pastori(Luca 2,1-20)
“1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2 Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. 3 Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. 4 Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, 5 per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. 6 Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. 8 C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. 9 Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, 10 ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11 oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. 12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». 13 E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: 14 «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». 15 Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16 Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. 17 E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18 Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. 19 Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. 20 I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”.
Nelle rappresentazioni artistiche a tema sacro uno dei soggetti più rappresentati da sempre è la “Natività”, sia nelle raffigurazioni cattoliche, sia nell’arte orientale.
Come mai è un tema tanto caro agli artisti? Perché illustra l’incarnazione di Dio nel Cristo, il Verbo.
San Giovanni, nel Prologo al suo Vangelo scrive: “In principio era il Verbo, e il verbo era Dio, e il Verbo era presso Dio”.
L’iconografia dell’Adorazione dei pastori inizia a comparire nel ‘400 e sarà comune nel ’600. La tavola in considerazione è opera di George De la Tour, un pittore francese del ‘600.
L’artista era apprezzato nei circoli più colti del tempo; era un pittore della corte reale francese. E’ uno dei primi pittori francesi a seguire il rinnovamento apportato nell’arte da Caravaggio.
L’immagine presenta al centro un neonato che sta dormendo, stretto nelle fasce, disteso immobile su un giaciglio di paglia. Intorno al sono raccolti in silenzio cinque personaggi a semicerchio. Maria, a sinistra, è la figura più luminosa.
La candela che Giuseppe ha in mano illumina il neonato al punto tale che ci pare sia proprio il Bambino Gesù a illuminare i volti, i corpi, i cuori. Ogni figura sembra brillare della luce riflessa del Bambino, luminosissimo. Il realismo di Caravaggio permette a De La Tour grandi effetti evocativi. Illumina i soggetti con piccole fonti di luce che ravvivano tutta la stanza interiore.
Luca racconta l’entrata di Dio nella storia umana; ma il concetto di “storia” allora era diverso dal nostro. Lo storico antico, pur non trascurando questi aspetti, ritiene prioritario il significato dell’evento per l’umanità.
Al versetto 21 Luca però ci dice un dato importante: “Gli fu messo nome Gesù, com’era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”. Abbiamo tutti ricevuto un nome alla nostra nascita, un nome pensato da chi ci ha generato, un nome che sarà legato per sempre alla nostra identità.
All’ottavo giorno Gesù riceve il suo Nome, “Jeshua”, “Dio salva” Nel nome c’è il suo scopo nel venire alla vita, nel prendere un corpo. Nome e missione sono inscindibili, appartengono all’esserci della persona, non solo come soggetto fisico, ma come identità.
Quindi i pochi cenni di Luca mostrano come Luca voglia dare rilievo alla presenza di un Dio che interviene nella storia umana, per farne una storia sacra. Il Sacro nel quotidiano. In quest’ottica va esaminata l’opera di De La Tour, che colloca gli episodi del Vangelo in ambienti quotidiani, perché vuole attualizzare il messaggio della Salvezza, l’entrata di Dio nella realtà umana.
Vuole raffigurare un Dio che entra in casa, in casa mia, in casa vostra. Il Dio rivelato da Cristo è un Dio che entra. La Tour è un pittore dell’anima, la sua pittura diventa Parola e rivelazione.
Il semicerchio con cui i 5 personaggi si dispongono, e il 5 è un numero biblico, simboleggia Israele, notiamo che è aperto verso noi. L’artista ci invita a percorrere lo stesso cammino dei pastori, perché con essi anche noi «andiamo e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Luca 2,15).
San Giovanni, nel suo Vangelo, dopo averci detto che “il Verbo era sin dal Principio”, ossia dalla eternità, e che “era Dio, che lui era la vita e la vera luce degli uomini”; ci dice che “i suoi non lo hanno accolto. Ma a quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.
Il “credere” ci rigenera come figli spirituali, nella misura in cui accogliamo il Verbo, la Parola, Cristo-Logos, che ci ricrea nell’uomo interiore.
Un Dio fatto carne: De la Tour dipinge un bimbo vulnerabile come altri, ma segno della presenza divina, Egli è il «Dio con noi».
I Pastori sono persone semplici, ma dignitose, De La Tour li raffigura vestiti a festa, le pettinature sono curate: hanno intuito sul volto del Bambino una presenza divina, e la accolgono.
L’artista ha educato lo sguardo, sa distinguere nella povertà del quotidiano lo splendore della presenza di Dio, e con quest’opera invita l’osservatore a cogliere nella nostra e altrui umanità la presenza divina.
Maria veglia rivolta a suo figlio, ma guarda più avanti, senza aureola, ma consapevole del mistero, prega per il Bambino, lo affida al Padre, arde nel suo abito rosso il fuoco dell’amore.
Giuseppe protegge con le mani la fiamma della candela, come poi proteggerà il bambino. La candela accesa nella mano è simbolo del cero acceso nella Messa della notte di pasqua.
L’agnello pasquale e le spighe sono simbolo dell’eucaristia. L’agnellino è l’essere più vicino al Bambino Gesù, l’agnello di Dio. Ecco il messaggio che De La Tour cela nell’opera: acquisendo la consapevolezza della presenza divina nel fragile e nel quotidiano, il nostro sguardo può cambiare. La fede non cambia la realtà, ma il nostro modo di guardarla. Allora l’oscurità può essere superata.
Questa gloria divina ci appartiene, essa è già in noi, e deve crescere. Se impariamo a contemplare, sotto le umili apparenze del Piccino possiamo cogliere la Bellezza divina che prefigura la nostra trasfigurazione definitiva, a immagine del Figlio.
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ARTE E SACRA SCRITTURA
Nelle rappresentazioni artistiche di matrice cristiana uno dei soggetti che più ha attratto gli artisti nei secoli è stata l’annunciazione alla Beata Vergine, come la splendida ”Annunciata” di Antonello da Messina. L’Annunciazione rappresenta uno dei momenti più gioiosi del Vangelo, ci racconta di un “Sì” che ha cambiato la storia, il si di una giovane generosa. E’ l’incontro tra Dio che chiama, e la creatura che risponde, e nella libertà si mette a disposizione:
L’annunciazione – Vangelo di Luca 1,26-38 Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei.
L’angelo è inviato a Nazareth, luogo ignorato dall’AT e dalla letteratura successiva. Un luogo della disprezzata Galilea, (“territorio di pagani”), divenuto insediamento di assiri dopo la conquista del Regno del Nord da parte di Salmanassàr V (726-722 a.C.). Una regione imbastardita religiosamente. Il messia non era atteso dalla Galilea; Gesù stesso era chiamato in modo dispregiativo il “Galileo” (Mt 26,69). Gli stessi Cristiani, alle loro origini, venivano chiamati in modo sprezzante “Galilei”. Il testo ci dice che la ragazza si chiamava Maria, nome quasi certamente egiziano, Marye, e significa “prediletta”, “amata”.
Antonello da Messina ha espresso questo gioioso incontro nella Vergine Annunciata (1477, olio su tavola, 37x 35, Palermo, Galleria Regionale di Sicilia). La Madonna viene ritratta mentre sta ricevendo l’annuncio, si direbbe che l’Angelo le sia appena apparso, perché la mano sinistra chiude il manto, a significare riservatezza del corpo e dello Spirito. Maria ha di fronte a sé l’angelo; non lo vediamo, ma c’é. La dipinge su fondo nero, per ottenere profondità: il fondo scuro azzittisce tutto, crea il silenzio attorno a Maria, e risalta la sua figura, posta in un isolamento totale. La conversazione che sta iniziando è tra lei, e l’angelo portatore del messaggio divino. L’artista ci restituisce l’intimità dell’incontro, un momento sacro, come il cuore di Maria, il luogo che accoglie l’annuncio.
L’Artista sa che l’annunciazione è un fatto concreto, reale, ci parla di un amore che si fa carne, perciò conferisce a Maria un modellato intenso, che restituisce alla figura volume e consistenza, anche perché il punto di osservazione risulta abbassato all’altezza del leggio. Ed è proprio nella parte bassa del dipinto, a livello di mani e leggio, che l’artista concentra la nostra attenzione. Le mani e il leggio, esprimono da un lato la capacità conservare la Parola nella mente e nel cuore (la mano sx.); mentre la destra si protende verso di noi, per dirci di fare attenzione, di fidarci e accogliere Dio nella nostra vita. Maria ci dice che più ci fidiamo di Dio e più entriamo nella pace, siamo rassicurati da queste mani e da questo volto; per il suo sì, Dio si è fatto uno di noi. Ciò rassicura il cuore: Dio si è fatto uno di noi.
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INCONTRI CON LA BELLEZZA
Iconografia di “Annuncio dell’angelo a Zaccaria”
L‘episodio evangelico dell’apparizione dell’angelo a Zaccaria è illustrato in un affresco nel ciclo di S. Maria dei Ghirli a Campione d’Italia, che conserva cicli di affreschi dal ‘300 al ‘600. Documentata già dall’anno 874 quale chiesa dedicata alla Madonna, venne ricostruita tra XIII – XIV secolo. La narrativa lucana ci parla di personaggi reali, che hanno un ruolo nella narrazione e sono protagonisti di una storia divina che si attua attraverso loro. neo-testamentari, attinge dalla Tradizione.
Luca ci dà una notizia interessante: quando anch’egli decise di intraprendere un racconto, nella 2a metà del I° secolo, erano già in atto tentativi da parte dei primi seguaci di Cristo di riportare in modo ordinato racconti, parabole, detti di Gesù, perché il tutto non andasse perduto. I Vangeli sono infatti un assemblaggio di brevi unità narrative raccolte nelle prime comunità (es. il Vangelo di Matteo e di Luca sono i primi tentativi di dare forma ordinata alla narrazione sulla storia di Gesù). I Vangeli non furono i primi scritti su Gesù, ma fecero riferimento a scritti sparsi presso le prime comunità di credenti, o elaborati da predicatori itineranti, che si appuntavano ciò che dovevano annunciare. Probabilmente la predicazione non era soltanto il kerigma, cioè l’annuncio degli eventi della passione, morte e risurrezione di Gesù, ma anche racconti di miracoli, di riporto di suoi detti.
La fede, pertanto, non si è fondata su di una qualche ideologia, ma ha avuto origine in un evento saldamente radicato alla storia, da cui si è poi originato l’annuncio, e con l’annuncio la fede. Quanto Luca scrive è una ricerca eseguita con grande accuratezza, andando all’origine dei fatti e accertandosi della loro veridicità tramite testimoni diretti, quelli che Luca definisce come “autóptai”. Di questi, all’epoca di Luca, con certezza ve ne era ancora uno: Giovanni, il discepolo prediletto.
I temi dell’infanzia di Gesù e del suo concepimento non destarono particolare interesse nella chiesa nascente, che preferì il periodo tra il battesimo di Giovanni e l’ascensione di Gesù (At 1,22).
Tuttavia, Matteo e Luca dedicano agli episodi dell’infanzia di Cristo molta attenzione. posizione altolocata, che finanziava la sua missione, considerata la posizione sociale di Luca, medico e conoscitore di diritto.
Vangelo di Luca 1,5-25
Al tempio di Erode, re della Giudea, c’era un sacerdote chiamato Zaccaria, appartenente alla classe di Abia; la sua sposa, una discendente di Aronne, si chiamava Elisabetta. *Dal punto di vista religioso, erano ambedue fedeli, perché in modo integerrimo praticavano tutti comandamenti e i
precetti del Signore. *Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile ed entrambi erano avanti negli anni. *Per Zaccaria venne il turno, assegnato alla sua classe, di servire nel tempio di Dio. *Secondo l’usanza del servizio sacerdotale, egli fu scelto a sorte per offrire l’incenso dentro il
santuario del Signore. *Durante l’ora dell’offerta dell’incenso tutta l’assemblea del popolo pregava all’esterno. *Allora gli apparve un angelo del Signore, in piedi alla destra dell’altare dell’incenso. *A quella vista Zaccaria fu sconvolto e un religioso timore si impossessò di lui. *Ma l’angelo gli disse: Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata ascoltata; la tua sposa Elisabetta ti darà un figlio e gli metterai nome Giovanni. *Questo sarà per te motivo di gioia e di letizia e molti si rallegreranno per la sua nascita. *Egli infatti avrà un grande compito da parte del Signore; per questo non berrà né vino, né altre bevande inebrianti e sarà consacrato dallo Spirito Santo fin dal seno di sua madre. *Suo compito sarà di convertire al Signore, loro Dio, molti del popolo d’Israele, *preparando la sua venuta con lo spirito e la forza di Elia, in modo da realizzare una tale conversione che i padri si compiaceranno nei figli e i ribelli torneranno a sentimenti di vera giustizia, e così presentare al
Signore un popolo ben disposto. *Zaccaria disse all’angelo: Quale prova ho per sapere se questo è vero? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni.*L’angelo gli rispose: io sono Gabriele, uno di
quelli che stanno direttamente agli ordini del Signore, e sono stato inviato per comunicarti
questa buona notizia. *Ebbene, poiché tu non hai voluto credere alle mie parole che si compiranno al momento stabilito, ecco che sarai ridotto al silenzio e non potrai più parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno. *Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria e si meravigliava per il suo indugiare nel santuario. *Ma quando uscì egli non riusciva a parlare; allora compresero che nel santuario aveva avuto una visione. Egli tentava di farsi capire con cenni, ma restava muto. *Quando
terminò il periodo del suo servizio al tempio, ritornò a casa. *Qualche tempo dopo Elisabetta, sua moglie, rimase incinta e non si fece vedere per cinque mesi, mentre andava pensando tra sé: * Ecco come ha agito con me il Signore, ora che si è degnato di porre termine a quella che era la mia vergogna in mezzo alla gente.
I primi personaggi introdotti da Luca sono Zaccaria ed Elisabetta.Entrambi appartengono alla classe sacerdotale, Zaccaria quale sacerdote ed Elisabetta, sua moglie, in quanto “discendente dalle figlie di Aronne”. Al sacerdozio ebraico non si accedeva per consacrazione, né aveva la sua sacralità. Era solo una funzione di servizio al Tempio, e si ereditava per nascita, per la semplice appartenenza alla tribù di Levi, che Jhwh aveva scelto per il suo servizio, per la fedeltà che questa tribù aveva dimostrato al vero culto di Dio durante l’episodio del “vitello d’oro”(Es 32,25-29).
Al tempo in cui Luca scrive vi era un numero esorbitante di sacerdoti: circa 20.000, addetti al servizio del Tempio, suddivisi in 24 classi sacerdotali. Zaccaria faceva parte dell’8° classe, quella di Abia Luca 1:11-13
La gravità della situazione viene rilevata dal tempo all’imperfetto, indicante un’irreversibile situazione: “non avevano un figlio”. Tutto sarebbe finito con la loro morte.
Veniamo al dipinto: la scena di Zaccaria con l’angelo nel tempio, rara nell’arte occidentale, in quella orientale è stata spesso raffigurata, sia negli affreschi, che nelle icone.
L’episodio è illustrato in un affresco nel ciclo di S. Maria dei Ghirli a Campione d’Italia. La chiesa conserva un ciclo di affreschi trecenteschi.
Nella scena compaiono l’arcangelo Gabriele e Zaccaria, ambientati in un’edicola poligonale, simbolo del tempio di Gerusalemme. L’artista dipinge strutture filiformi, esili, secondo il gusto gotico. Le esili strutture gotiche ben si prestano a illustrare un’apparizione angelica.
L ‘arte tardo-gotica è un’arte raffinata, compare nelle corti europee, efa grande impiego di argenti e ori, anche negli affreschi; e l’angelo è vestito di luce. L’architettura gotica incornicia l’incontro, contestualizzato dall’edificio. L’artista è stato in grado di rendere bene la reazione di Zaccaria alle parole dell’angelo.
L’evento era di enorme importanza, perché secondo la mentalità giudaica non si potevano coniugare tra loro santità e sterilità; la mentalità giudaica valutava la sterilità una punizione divina. Per questo, per rassicurare Zaccaria, l’apparizione avviene nella parte antistante il “Sancta Sanctorum”, in quello spazio sacro che favorisce il rapporto uomo-Dio. Zaccaria aveva dubitato delle parole dell’angelo: Come potrò mai conoscere questo? Come posso fidarmi? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni, dubita, non crede che l’onnipotenza divina, che lo ha tratto all’esistenza dal nulla, possa creare di nuovo e fecondare il grembo della moglie ormai senza più capacità di generare. Infatti l’angelo gli dice: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio” hai davanti a te un essere celeste, l’annuncio è divino. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo». Ossia, “Poiché non hai creduto alla Parola di Dio, la Parola ti verrà tolta”. Non è una punizione, questo gesto divino va interpretato come un segno, che in seguito Zaccaria saprà interpretare, quando la Parola gli verrà ridonata. L’artista ha ben reso la reazione di Zaccaria all’annuncio angelico: la sua figura si incurva in avanti, ma non in atto di riverenza verso l’angelo divino, bensì per contestare le sue parole, e lacontestazione è evidente nella gestualità delle mani, contraddette dal movimento della mano destra dell’Arcangelo Gabriele, un gesto che è un monito: “Ecco, resterai muto, perché non hai creduto alla mia parola”.
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LEONARDO – TECNICA PITTORICA 011.
La prospettiva consente al corpo di essere presente nella realtà bidimensionale della superficie pittorica. proprio il passaggio dalla figura al corpo é la chiave di volta della Scienza della pittura. Alla conoscenza prospettica di Leonardo concorrono numerose osservazioni naturali, studi di ottica e di geometria, testimoniati in innumerevoli fogli dei codici. Egli conduce numerosi studi relativi alla prospettiva lineare, vuole capire come la realtà si presenta allo sguardo e come è possibile rappresentare una realtà che appaia come vera. Considera le classiche teorie dell’estromissione o intromissione dei raggi luminosi e predilige quella dell’intromissione.
Come appare in un codice della fine del secolo XV, queste indagini ottiche sono da leggere nel quadro della “Scienza della pittura”; in modo particolare, Leonardo è cosciente della discrepanza tra il passaggio dalla realtà, alla sua rappresentazione e conduce su questo tema degli interessanti studi.
L’artista-scienziato riprende la tradizione brunelleschiana dello specchio come strumento prospettico, e ritrova nelle superfici specchianti la condizione migliore per studiare il passaggio dal corpo reale, alla superficie rappresentativa. In questi termini, lo specchio diventa il migliore punto di riferimento per verificare l’efficacia realistica dell’opera pittorica.
Scrive Leonardo: “Soprattutto lo specchio si deve pigliare più a suo maestro, c’è lo specchio piano, imperocché sulla sua superficie le cose hanno similitudine con la pittura in molte parti. Cioè lo specchio richiama la prospettiva come un guardare attraverso”.
Ecco che allora che è come se lo specchio fosse il riflesso della finestra di vetro di cui parla Leon Battista Alberti, o il piano di taglio della piramide visiva.
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LEONARDO – TECNICA PITTORICA 010.
Nella caverna della Vergine delle Rocce la luce illumina, ma i corpi proiettano ombre potenti, tutte d’un medesimo colore. Nella caverna della Vergine delle Rocce l’ombra più scura e quella più vicina alla luce. Così le ombre assumono i colori dei corpi come ad esempio nella Dama con l’ermellino, dove la mano e la manica del braccio che regge l’ermellino stesso si scambiano i colori delle ombre.
Data l’importanza attribuita al rilievo dei corpi, la prospettiva aerea riveste un ruolo fondamentale che articola la figura, il colore, l’ombra. La prospettiva è lo strumento principale per una rappresentazione pittorica conforme alla realtà.
Leonardo Propone anche un percorso di formazione per il pittore che parte dall’ apprendimento della prospettiva. L’artista parla di tre tipi di prospettive, cioè “Diminuzione delle figure dei corpi, diminuzione delle magnitudini loro e diminuzione dei loro colori”. Esistono dunque, la prospettiva lineare, la prospettiva di definizione dei dettagli e la prospettiva dei colori.
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LEONARDO – TECNICA PITTORICA 009.
Nela suo “Trattato della Pittura”, Leonardo propone anche alcuni consigli sul pigmento pittorico in quanto materia. Leggendo i suoi scritti, pare quasi di vedere il Genio di Vinci al lavoro, mentre impasta le materie, spalma i colori, effettua le velature. Soprattutto, la tecnica della velatura a olio, con la sovrapposizione di strati trasparenti di colore, consente di rappresentare l’atmosfera.
Minuscole gocce di luce si interpongono tra l’Osservatore e gli oggetti via via più lontani, fino all’orizzonte. Mediante la velatura, Leonardo può dipingere l’effetto del rilievo: la velatura materializza il pigmento rendendolo colore.
Per questo i paesaggi di Leonardo sono profondi e le montagne acquistano rilievo. Ciò si evince, in modo esemplare, nel paesaggio alle spalle di Monna Lisa, dove l’atmosfera è data da piani graduati in lontananza, a evidenziare ricordi e stati d’animo in perenne divenire.
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LEONARDO – TECNICA PITTORICA 008
Secondo Leonardo si trova “il vero colore nel caso di un cielo terso. Questo non accade mai potersi vedere se non nel colore Turchino posto per piano in verso il cielo sopra un altissimo monte, a ciò che in tal Loco non possa vedere altro obietto, è che il sole sia occupato, nel morire, da bassi nuvoli, è che il piano sia del colore dell’aria”.
Il cielo come pura luce appare forse anche nelle finestre che si aprono nel fondo della Madonna Benois. Per Leonardo, il vero colore non esiste in natura, se non in un cielo turchino. Infatti, l’artista sottolinea che vi è sempre un concorso di colori che si sovrappongono fino a stabilire la tinta finale.
Scrive:
“Il Rosato anche gli cresce di bellezza quando il sole che la Lumina nell’occidente rosseggia e insieme con le nuvole che se gli interpongono, benché in questo caso si potrebbe ancora accettare per vero, perché se il Rosato alluminato di Allume rosseggiante mostra più che altrove bellezza, gli è segno che lumi da altri colori che Rossi gli toglieranno la sua bellezza naturale”.
Spesso infatti le finestre si aprono su paesaggi in cui montagne e cielo dialogano cromaticamente, come nelle tre finestre che si aprono alle spalle di Gesù nel Cenacolo. L’aria in se stessa non avrebbe colore, ma prende la luce del sole. Per questo Leonardo dipinge l’azzurro dell’aria nel paesaggio di fondo.

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LEONARDO DA VINCI: TECNICA PITTORICA 006
Leonardo, Studio di Ottica (Disegno, Royal Collection)
Vasari ricorda come il giovane Raffaello si lasciò influenzare dall’arte di Leonardo: guardando “l’Adorazione dei magi” del Maestro di Vinci, imparò a disegnare col pennello, tanto da adottare la modalità anche in alcuni disegni preparatori per le Stanze Vaticane. Per Leonardo, il fine del disegno consiste nella capacità di disegnare la realtà dalla stessa realtà (copia dal vero) quindi il disegno è una scuola per conoscere la realtà.
La seconda parte della Scienza della pittura parla del colore e della luce. Tra i due vi è una relazione strettissima, non esiste l’uno, senza l’altra.
Leonardo è stato il primo a lavorare sperimentalmente sul colore delle luci e delle ombre, a lui risalgono i primi esperimenti che si conoscano sia con le ombre colorate, sia con le sorgenti di luce di diversa colorazione.
Nel colore, ombra e luce si incontrano, perché, scrive Leonardo, “La pittura è imitatrice de’ colori per li quali el pittore s’affatica a trovare che le ombre sieno compagne de’ lumi”. Tuttavia, l’approccio vinciano presenta una novità, rispetto alle pratiche del tempo, per gli attenti studi della variabilità dei colori stessi con il variare della luce.
L’ombra appare dipinta come parte del colore, in quanto l’ombra è privazione di luce.
Leonardo distingue il lume in 4 tipi fondamentali: l’universale, il particolare, il riflesso e infine quello che passa attraverso mezzi parzialmente trasparenti, come la tela e la carta.
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Gentilissimi,
sono lieta di informarvi che su “IL GIORNO” di Sabato 13 Marzo è uscito un articolo interamente dedicato al mio caro papà, Pier Luigi Sangalli, fumettista da una vita.
A cura del giornalista Andrea Bonzi. Buona lettura!
Elisabetta Sangalli
“Dal mio Braccio di Ferro al diavolo Geppo I fumetti
di una volta sono tornati di moda”
Il decano italiano della matita, 82 anni, è un vero recordman: in carriera ha realizzato circa 70mila tavole
Pubblicato il 13 marzo 2021, di ANDREA BONZI
Pierluigi Sangalli, 82 anni, con alcuni dei suoi disegni di Braccio di Ferro
MILANO – Braccio di Ferro, mangiatore di spinaci e raddrizzatore di torti. Il diavolo Geppo, sempre pronto a una buona azione anche all’Inferno. E ancora Provolino e Topo Gigio, beniamini della tv per bambini. La matita di Pierluigi Sangalli, 82 anni, ha dato vita su carta a moltissimi personaggi dei fumetti, divertendo e insegnando a leggere intere generazioni di italiani. Colonna portante del fumetto umoristico italiano, Sangalli è un vero recordman: nella sua carriera ha realizzato poco meno di 70mila tavole (!), di cui la metà del forzuto marinaio ideato da Segar. Questi personaggi, a parte quelli in licenza (da Popeye a Felix il Gatto), non hanno goduto del traino di trasposizioni cinematografiche o animazioni recenti in stile Disney-Pixar, eppure, da Nonna Abelarda a Soldino, hanno caratterizzato un’epoca se si vuole ’ingenua’ (anche se non mancavano le notazioni di costume), insegnando a leggere generazioni di italiani. E oggi c’è una riscoperta di questi albi dal tratto e dalle storie semplici ma riconoscibilissime. Un revival dovuto, spiega l’autore, “proprio al sapore di artigianalità di queste pubblicazioni. Credo sia l’elemento che interessa i collezionisti”.
Sangalli, come ha intrapreso il mestiere di disegnatore? Negli anni Cinquanta era tutt’altro che scontato…
“Ho completato gli studi di ragioneria, ma quello del contabile – realizzai dopo un paio di tentativi – non era il mestiere che faceva per me. Un mio amico dell’oratorio aveva trovato un posto di lavoro alla casa editrice Alpe, che stampava fumetti per ragazzi, e mi mostrò i suoi disegni. Gli dissi quanto mi sarebbe piaciuto fare quel mestiere: allora non esistevano scuole di fumetto, ma questo amico fu ben felice di insegnarmi tutto ciò che conosceva. Cominciò a farmi lezioni a casa, finché mi suggerì di fare il giro degli editori di Milano con una mia breve storia da mostrare. Quell’amico era Alberico Motta, disegnatore e sceneggiatore di fumetti”.
Fu facile trovare posto?
“Dopo un primo giro a vuoto, Motta si ricordò delle Edizioni Il Ponte, che si chiamavano così perchè avevano la sede a pochi passi da un ponte ferroviario. Salii al primo piano e mi accolse un omone, che lesse la mia breve storia: ’Mica male – osservò – ho giusto bisogno di un ripassatore’. Quell’editore, come può immaginare, era Renato Bianconi. Iniziò tutto così”.
Passiamo ai personaggi, quali sono i suoi preferiti?
“Difficile dirlo. Ne ho disegnati almeno una cinquantina, tra quelli creati da me, quelli creati da altri autori e quelli di copyright. Parlando di questi ultimi, al primo posto sicuramente Braccio di Ferro. Poi Geppo, che ho cominciato a disegnare dal 1961, fino a quando l’impegno per il marinaio me lo permise, pur continuando sulle copertine”.
Ecco, come mai l’idea di un Diavolo buono – un ossimoro – fu così vincente?
“L’idea si deve a un amico di Giovan Battista Carpi, Giulio Chierchini, il quale disegnò la prima storia di ’Gep’. Carpi ne intuì il valore, lo modificò e lo propose a Bianconi. Apparvero una dozzina di storie, perché poi Carpi iniziò a collaborare con Mondadori. Quando iniziai la mia collaborazione, mi affidò subito di disegnarne le storie. Nel 1961 nasceva l’albo di Geppo, che durò fino al 2000”.
Un po’ come è successo con i Disney italiani, anche il Braccio di Ferro disegnato da lei e dai suoi colleghi è considerato il vero erede di quello di Segar. Come nacque l’idea di realizzare ’in proprio’ le avventure del marinaio?
“Quando l’agenzia che deteneva il copyright propose a Bianconi di fare un albo con Braccio di Ferro, lui non era convinto. Il personaggio era già apparso in Italia ma non aveva raccolto gradimento, perché le strisce in America erano stampate a piè di pagina sui giornali e le storie si sviluppavano con lentezza. Negli albi non avrebbe mai funzionato. Fui io a convincerlo che bastava conferire ai personaggi un aspetto più ’italiano’ e far interpretare al marinaio guercio storie più movimentate, adatte ai nostri lettori con meno di 14 anni. La scelta ha funzionato per quasi quattro decenni e l’editore restò sempre quello principale nella pubblicazione del Popeye americano”.
Lo sa che Braccio di Ferro era il personaggio preferito di Lucio Dalla e Monica Vitti, che ne parlano a lungo in un’intervista del 1980?
“Sapevo della Vitti e della cantante Mina, lo avevo sentito dire da loro in un programma alla radio. Mentre lavoravo, la tenevo sempre accesa. Proprio a Mina ho fatto pervenire un disegno di Braccio di Ferro, alcuni anni fa”.
C’era differenza nel disegnare storie per personaggi nati in tv, e già famosi, come Provolino e Topo Gigio?
“I creatori dei personaggi nati per la tv tenevano molto all’immagine dei loro pupazzi, ma capivano che l’impiego nel fumetto era un’altra cosa. Mi ricordo quando Maria Perego, creatrice di Topo Gigio, radunò negli studi dell’editore noi fumettisti per vedere come sarebbe stato trattato il suo personaggio, soprattutto nel volto. Diede l’ok e fu favorevole”.
Ha realizzato anche una parodia del western, in particolare Dormy West. Ce la racconta?
“Dormy West era uno sceriffo dormiglione. I suoi concittadini lo vedevano spesso sonnecchiare fuori dal suo ufficio ma riusciva sempre a catturare il bandito di turno, grazie a enormi starnuti che travolgevano l’avversario”.
Ha trascorso quasi 40 anni alle edizioni Bianconi, vivendone quasi tutta la parabola: una fucina di talenti dove, però, si lavorava senza sosta. Che tipo di clima di respirava?
“L’aria che si respirava era stata quasi sempre determinata dalla moglie, addetta ai regolamenti dei conti. Bianconi non voleva saperne di pagamenti e lasciava fare tutto a lei. Era difficile che concedesse aumenti, anche nei periodi più duri. Molti autori che avevano varcato il suo ufficio, avevano poi trovato lavoro altrove. Quelli che erano rimasti, invece, si adattavano, studiando sistemi per accelerare i tempi di produzione delle tavole. Mi ero organizzato trovando amici e parenti che mi aiutassero a individuare soggetti per le storie e idee per le copertine. Il risultato fu sempre ottimo”.
Ma quante tavole disegnava al mese?
“Nei momenti migliori riuscivo a produrre 200 tavole al mese. Le matite che passavo all’inchiostratrice dovevano essere solo seguite dall’unica traccia che ottenevo al tavolo da ricalco di bozzetti preparati in precedenza. Ho calcolato di aver realizzato, tra storie e copertine, poco meno di 70mila tavole, di cui la metà di Braccio di Ferro”.
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LEONARDO DA VINCI: TECNICA PITTORICA 005
“Paesaggio della vallata dell’Arno” (Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi)
Per la formazione artistica, Leonardo indica un percorso preciso:
“Precetti del pittore. Il pittore debbe prima suefare la mano con ritrarre disegni di mano di boni maestri, e fatto detta suefazione col giudizio col suo precettore, diebbe di poi suefarsi co ritrarre cose di rilievo bone, con quelle regole che del ritrar si dirà”.
Anche la formazione di Leonardo ha avuto il disegno come elemento centrale, e il primo disegno autografo di Leonardo consiste nel “Paesaggio della vallata dell’Arno” (Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi), datato 5 agosto 1473. Leonardo aveva 21 anni, i disegni degli anni di apprendistato sono andati perduti.
Sappiamo però del lungo periodo di tempo trascorso da Leonardo presso l’affermata Bottega del Verrocchio, in cui studiarono numerosi artisti.
Le prime opere mostrano grande autonomia, conquistata però a partire dallo studio, a partire da un maestro. Non solo infatti si nota la mano di Leonardo come collaboratore di dipinti, e l’esempio più significativo è il Battesimo di Cristo, ma si nota anche nei disegni di Leonardo la presenza di elementi desunti da opere scultoree di Verrocchio.
Leonardo stesso è subito maestro per tanti giovani artisti che cercano di imparare da lui, anche imitando le sue opere, lavorando in gruppo.
Se Leonardo spesso nei suoi scritti parla della positività del dipingere in solitudine, sa bene però che il confronto con gli altri provoca un miglioramento; scrive: “disegnare in compagnia è molto meglio che solo, per molte ragioni… la invidia buona ti stimolerà ad essere nel numero dei più Laudati di te, l’altra è che tu piglierai di chi farà meglio di te”.
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LEONARDO DA VINCI: TECNICA PITTORICA 004
Leonardo, Ritratto di Ginevra Benci (Washington, National Gallery)
Per la resa realistica della pittura, Leonardo evita che il profilo dei corpi sia marcato, se non in particolari condizioni di luce e ombra.
Scrive l’artista: “Li termini e figura di qualunque parte de’ corpi ombrosi ma si conoscono nelle ombre e ne’ lumi loro, ma nelle parti Interposte in fra li lumi e le ombre le parti d’essi corpi sono in primo grado di notizia”.
In particolare, il pittore non deve mai segnare il profilo dell’ombra.
Scrive infatti: “l’ombra, le quali tu discerni con difficultà e i loro termini non puoi conoscere, anzi, con confuso giudizio lo pigli e trasferisci nella tua opera, non le farai finite, ovvero terminate, chè la tua Opera fia di legnosa risultazione”. Infatti, per Leonardo segnare un contorno preciso all’ombra significa cancellarla, annullarla.
Leonardo tende a sovrapporre linea e colore lungo i profili delle forme. Consiglia di fare “i termini colorati”, cioè di colorare il contorno, espandendo il colore: il termine del corpo, sebbene non appaia alla fine come un contorno segnato, è un contorno disegnato che risulta mediante il colore. Questo appare ad esempio nel ritratto di Ginevra Benci (Washington – National Gallery) dove il contorno del volto è segnato dal colore scuro su cui si definisce.
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LEONARDO DA VINCI: TECNICA PITTORICA 003
Leonardo, Vergine delle Rocce (Louvre)
Leonardo rappresenta nei suoi disegni e nei dipinti tutti gli elementi: l’acqua (es. lo Studio del diluvio conservato alla Windsor Royal Library); la terra (es. nella Sant’Anna e Madonna con Bambino del Louvre); l’aria e il fuoco (disegni conservati alla Royal Library). Raffigura il corpo nei suoi vari atteggiamenti, posizioni e il volto nei stati d’animo, raffigura paesaggi, flora e fauna. Ogni aspetto della realtà attira il Genio universale.
Nelle opere pittoriche il suo processo di conoscenza è affidato alla capacità della sua mano esperta. L’opera pittorica ci restituisce la sua conoscenza della realtà, perché per Leonardo la pittura non solo raffigurazione, ma anche via alla conoscenza. Pertanto, il pittore manifesta la sua discendenza da Dio. Scrive il Genio di Vinci: la pittura è nipote della natura, che è parente di Dio, i pittori sono nipoti a Dio”.
La pittura è per l’artista-scienziato un bene universale, ed è composta essenzialmente di due parti articolate: disegno e prospettiva; colore e ombra.
La prospettiva appare intermedia tra queste due parti, essendo la propsettiva lineare propria del disegno, mentre la prospettiva cromatica appartiene al colore e all’ombra.
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LEONARDO DA VINCI: TECNICA PITTORICA 002
Nel libro di pittura di Leonardo leggiamo più volte la necessità di combinare la teoria e la pratica: “Studia prima la scienza e poi seguita la pratica nata da essa scienza” e anche quelli che s’innamorano di pratica senza scienza, sono come quelli che entrano in Naviglio senza timone o bussola che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica dev’essere edificata sopra la bona teorica”.
Per Leonardo La conoscenza e la rappresentazione della realtà costituiscono un binomio indissolubile; questo rapporto tra teoria e tecnica permette alla pittura di conformarsi alla realtà:
“La pittura è capace di considerare sia le opere umane che quelle divine, purché siano corporee. Ma la deità della Scienzia della pittura considera l’opere così umane come divine, le quali sono terminate dalle loro superfizie, cioè linee de’ termini de’ corpi”.
Il pittore deve essere in grado di dipingere ogni cosa e “Non può essere un bravo pittore se si limita alla rappresentazione di un solo genere di realtà: quello pittore non fia universale che non ama equamente tutte le cose che si contengono nella pittura” e conoscendo noi che la pittura braccia e contiene in sé tutte le cose che produce la natura, e che conduce l’accidentale operazione degli omini, et in ultimo ciò che si può comprendere con gli occhi, mi pare un tristo maestro quello che con solo una figura fa bene”.
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LEONARDO DA VINCI: TECNICA PITTORICA 001
Il pittore con grand’agio siede dinanzi alla sua opera ben vestito, e move il levissimo pennello con li vaghi colori, et ornato di vestimenti come a lui piace; e l’abitazione sua piena di vaghe pitture, et pulita, et accompagnata spesse volte di musiche, o lettori di varie e belle opere, a quale, senza strepito di martelli od altri rumori misto, sono con gran piacere udite”. (Leonardo da Vinci, Libro di pittura cap. I, 36).
Per Leonardo la “Scienza della pittura”, come ogni tecnica, implica una profonda conoscenza e poi una conseguente applicazione in una conoscenza virtuosa di rappresentazione dove sono costantemente coinvolti mente-occhi-mani.
Lo stretto legame tra teoria e pratica è, infatti, l’aspetto ricorrente dell’attività artistica leonardiana, riscontrabile nella trattatistica, nei disegni, nell’opera pittorica, e nella stessa immagine che egli ama dare del pittore mentre dipinge “elegantemente vestito, nell’armonia della musica”.
Per analizzare la tecnica pittorica di Leonardo occorre pertanto tener sempre insieme la teoria e la pratica, analizzando le sue opere alla luce di quella miniera di conoscenza che è il Genio di Vinci.
La vera scienza secondo Leonardo, coinvolge sia la teoria che la pratica; implica sia le dimostrazioni matematiche che l’esperienza; “la vera scienza si identifica proprio con la scienza della pittura la quale è prima nella mente del suo speculatore, e non poter venire alla sua perfezione senza la manuale operazione”.
Scrive inoltre Leonardo: “La scelta della pittura con l’invenzione della prospettiva, rende vedente la geometria:
perché il pittore quello che per necessità della sua arte ha partorito essa prospettiva, e non si può fare per sè sanza linee, dentro alle quali linee si chiude tutte le varie figure dei corpi generati dalla natura, è sanza di quale l’arte del geometra è orba”.
Dunque la scienza della pittura è per Leonardo “vera” scienza, coinvolgendo il discorso mentale, la razionalità matematica. L’esperienza e l’operazione manuale coinvolge occhi, mente, mani.
Come la scienza, così anche la pittura, è universale.
Il pittore può, e deve, conoscere e rappresentare tutto, “ed in effetti ciò che nell’universo per essenzia, presenzia o immaginazione, ecco il pittore l’ha prima nella mente, e poi nelle mani. L’occhio che si dice finestra dell’anima è la principale via donde il comune senso po’ più copiosa e magnificamente considerare le infinite opere de natura” e ancora “l’opere che l’occhio comanda alle mani sono infinite”.
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